Sapido AC-4100 Manuel d'utilisateur

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vino&catid=1%3Arecensioni&Itemid=277
Georgia: l’origine del vino
Vini naturali, vini d’anfora: alla scoperta dell’origine del vino in la Georgia, la culla della
civiltà dove è nata la vitivinicoltura
Si parla tanto di vino, di degustazioni, ma poco dell’aspetto antropologico del vino stesso: da dove viene, come
viene fatto, perché è fatto così
”. Esordisce in questo modo Nicola Finotto che, insieme a Michele, ha intrapreso un
progetto ambizioso: ritrovare il legame uomo-natura.
Partendo dal vino, là dove è nato, ci porta a scoprire quello più autentico, fatto solo da uva e tempo. Grazie ai vini
georgiani, importati da
I am wine
e da
Velier
, possiamo immergerci in un territorio sconosciuto e assaggiare il sapore
del vino degli albori. Ci accompagna Guido Invernizzi, il quale ci avverte subito che degustare questi vini riserverà
non poche sorprese.
È ormai certo che la zona d’origine della vite sia il territorio compreso fra Caucaso,
Turchia orientale e la catena dei Monti Zagros. Qui si ritiene abbia avuto
inizio anche la produzione vitivinicola su larga scala: a suffragare tale ipotesi, la scoperta della più antica cantina del
mondo, contenente un torchio e recipienti per la fermentazione e la conservazione del vino, risalenti al 4100 a.C..
Le zone georgiane più vocate per la produzione di vino sono quelle centrali dell’Imereti e orientali del Kakheti,
protette dalle catene del piccolo e grande Caucaso; con i loro suoli ricchi di minerali, carbonati e gesso, sono ideali,
dal punto di vista pedoclimatico, per una produzione di qualità. In queste regioni si sono sviluppati nel corso dei
secoli due metodi tradizionali di coltivazione: nella zona del Kakheti, dove si concentra la maggiore produzione
vinicola del paese, l’uva pigiata insieme a tutte le vinacce (bucce, raspi, pedicelli e vinaccioli), viene posta a
fermentare per almeno dieci giorni in contenitori di terracotta chiamati kvevri, interrati per garantire una temperatura
costante a 20°C. Follature giornaliere rimescolano il cappello di vinacce fino a quando ha inizio la fermentazione
malolattica che avviene a recipiente parzialmente coperto. Terminata ogni attività microbica, nel contenitore, sigillato
ermeticamente e seppellito sotto uno strato di sabbia o terra, si completa l’affinamento del vino sulle fecce. Dopo
alcuni mesi, si preleva il liquido, si travasa fino a completo illimpidimento e si trasferisce in un kvevri interrato e
sigillato situato all’interno di cantine in pietra chiamate marani, dove potrà riposare mesi o addirittura anni.
Nell’Imereti, invece, solo una parte delle vinacce (tra il 5-10%), prive dei pedicelli, viene posta nel kvevri a
fermentare. Inoltre, grazie al clima più mite, è possibile interrare i kvevri all’interno di cantine in legno, sotto una
tettoia o addirittura a cielo aperto.
È evidente che questi due metodi, adottati per ottenere sia vini rossi che bianchi, stravolgono l’approccio alla
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degustazione canonica; qui la sensazione di rugosità e astringenza - indizio inequivocabile della presenza di tannini –sarà avvertita in entrambe le t

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naso la gamma dei profumi è simile, ma con una nota volatile più accentuata. In bocca è fresco e ancora una volta“tannico”; termina con una scia amari

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